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Peculato

Peculato

A un sanitario viene contestato di essersi appropriato, in qualità di medico svolgente la funzione di guardia turistica presso un ambulatorio estivo, di somme di denaro ricevute per lo svolgimento di prestazioni sanitarie (dal 6 al 14 agosto 2015).

Tratto a giudizio, il medico viene ritenuto colpevole del delitto di peculato (art. 314 c.p.) e condannato alla pena ritenuta di giustizia con sentenza confermata in appello.

La Corte di appello ritiene dirimente ai fini della configurabilità del peculato la gestione di pubblico denaro da parte del medico e applica i principi affermati in sede di legittimità in tema di attività “intramoenia” svolta dai sanitari.

Il medico impugna la sentenza d’appello in cassazione sostenendo di non avere rivestito nell'occasione la qualifica soggettiva di pubblico ufficiale ritenuta sussistente dai giudici di merito. 

La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la recente sentenza n. 12156/2024, depositata il 22.03.24, rigetta il ricorso confermando la decisione impugnata.

La Suprema Corte osserva, in particolare, che i giudici di merito hanno ritenuto erroneamente che l’attività svolta dall'imputato fosse paragonabile a quella del sanitario che opera in regime di “intramoenia”; che, invero, la cosiddetta "guardia turistica" è un particolare diverso servizio istituito dalle ASL per l’assistenza medica ai turisti non residenti in determinate località turistiche in coincidenza con il maggior flusso, utilizzando sia il personale medico già disponibile (medici di assistenza primaria o addetti alla continuità assistenziale), sia quello assunto ad hoc tramite appositi bandi (cfr. art. 59 d. P.R. 28 luglio 2000, n. 270); che nel caso della guardia medica turistica (o della “attività medica nei servizi di assistenza stagionale”) si tratta di prestazione svolta dal medico (già incardinato o, in caso di insufficienza, anche a titolo provvisorio se assunto ad hoc) nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, per assicurare il servizio di “continuità assistenziale”; che, infatti, il medico può prescrivere farmaci, richiedere esami diagnostici e visite specialistiche e formulare proposte di ricovero su ricettario del Servizio Sanitario Nazionale; che, per evitare di caricare le Regioni degli oneri finanziari di tale forma stagionale di assistenza medica di base, è previsto che il servizio non sia gratuito, come nella fattispecie in esame per la quale la normativa regionale prevedeva per l’utilizzatore del servizio il versamento di un contributo (15 euro per una visita, 25 euro per una visita domiciliare, 8 euro per una ricetta) che il medico era tenuto a riversare alla ASL di competenza con modalità prestabilite e rilasciando ricevuta su bollettario fornito dalla stessa ASL; che nel quadro così descritto, deve ritenersi che il medico, addetto al servizio di guardia turistica nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale, anche se selezionato ad hoc per tale servizio in via temporanea, rivesta la qualifica di pubblico ufficiale poiché svolge l’attività per mezzo di poteri pubblicistici di certificazione, che si estrinsecano nella diagnosi e nella correlativa prescrizione di prestazioni a carico del Servizio stesso; che, d’altra parte, per analoghe ragioni, questa Corte Suprema ha già affermato che il medico privato professionista "convenzionato" con la ASL, addetto alla guardia medica, riveste la qualifica di pubblico ufficiale e non quella di incaricato di pubblico servizio (vedi la sentenza penale n. 29788/2017), al pari dei medici convenzionati che prestano la loro attività nell'ambito del Servizio Sanitario Nazionale (vedi, tra le tante, le sentenze penali n. 7958/1992 e n. 35836/2007).

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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