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Dedotta responsabilità per omessa diagnosi grave patologia cardiaca congenita

Dedotta responsabilità per omessa diagnosi grave patologia cardiaca congenita

I genitori di un minore, nato nel 1997 e deceduto nel 2002, convengono in giudizio una azienda sanitaria chiedendo che venga accertata la responsabilità contrattuale della struttura sanitaria per la errata o omessa diagnosi della grave patologia cardiaca congenita di cui era risultato affetto il bambino, eziologicamente determinante nella causazione del decesso del piccolo, patologia accertata solo in sede autoptica.

Il competente Tribunale, previo espletamento di una C.T.U., rigetta le domande risarcitorie formulate dagli attori escludendo che era stata fornita la prova di un nesso di causalità tra il decesso del piccolo e la condotta dei sanitari della struttura ospedaliera, come peraltro già precedentemente accertato in sede penale. 

La sentenza di primo grado viene confermata in appello in quanto in questa sede viene ribadito che, per le condizioni in cui versava il bambino, l’evento morte non era evitabile. 

Il giudice d’appello esclude anche che sia configurabile una responsabilità della struttura sanitaria per omessa diagnosi in termini di perdita di chance.

Ricorrono in cassazione i genitori del bimbo deducendo che i giudici di merito avevano omesso di verificare se i sanitari che ebbero in cura il minore, già nell'aprile del 2000, avessero fatto tutto ciò che secondo i protocolli scientifici dell’epoca era necessario per verificare se la patologia dello sfortunato bambino potesse essere riconducibile o meno a una disfunzione dell’apparato cardiocircolatorio; che, in base a quanto affermato dal loro consulente di parte, era inspiegabile che il bambino non fosse stato sottoposto a un RX del torace o a un elettrocardiogramma che avrebbe potuto sollevare il sospetto di cardiopatia per arrivare a una diagnosi tempestiva che avrebbe modificato il percorso della malattia.

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 10817/2024, depositata il 22.04.24, dichiara inammissibile il ricorso, confermando quindi la correttezza della sentenza impugnata. 

La Suprema Corte, pur rilevando preliminarmente la carenza del ricorso sotto il profilo dell’autosufficienza, osserva che comunque il ricorso è infondato in quanto la sentenza contiene un motivato e autonomo apprezzamento delle risultanze della CTU in base al quale è stato giustamente affermato che la patologia era molto grave, difficilmente diagnosticabile, spesso asintomatica e che nulla sarebbe cambiato, anche se la diagnosi fosse stata più precoce perché non c’era rimedio; che, in sostanza, anche una diagnosi precoce non avrebbe potuto impedire l’esito infausto. 

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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