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Danno da abusiva reiterazione contratti a termine

Danno da abusiva reiterazione contratti a termine

La Corte di Cassazione, sezione lavoro, con la recente sentenza n. 13707/2024, depositata il giorno 16.05.24, nel respingere il ricorso di una ASL avverso la sentenza che l’aveva condannata al pagamento a un medico di sei mensilità dell’ultima retribuzione di fatto a titolo di risarcimento del danno derivante dalla reiterazione dei contratti a termine per un periodo di 36 mesi, ha affermato il seguente principio di diritto.

Nell'ipotesi di abusiva reiterazione di contratti a termine nel pubblico impiego privatizzato, la misura risarcitoria prevista dall'art. 36, comma 5, D. Lgs. n. 165/2001, va interpretata in conformità al canone di effettività della tutela affermato dalla Corte di Giustizia UE (ordinanza 12 dicembre 2013, in C-50/13), sicché, mentre va escluso - siccome incongruo - il ricorso ai criteri previsti per il licenziamento illegittimo, può farsi riferimento alla fattispecie omogenea di cui all'art. 32, comma 5, della Legge n. 183/2010, quale danno presunto, con valenza sanzionatoria e qualificabile come "danno comunitario", determinato tra un minimo e un massimo, salva la prova del maggior pregiudizio sofferto; che, infatti, nell'ordinamento italiano è prevista una misura preventiva e sanzionatoria, costituita dal riconoscimento del danno da illegittima reiterazione di contratti a termine, al quale, peraltro, questa Corte di legittimità ha riconosciuto la caratura di “danno comunitario” a carattere latamente sanzionatorio e oggetto di meccanismo presuntivo, da ciò derivando l’esonero del lavoratore dall'onere di provare il danno medesimo, salvo, invece, l’onere di dare prova del maggior danno richiesto.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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