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Consulenza tecnica d’ufficio in tema di responsabilità sanitaria

Consulenza tecnica d’ufficio in tema di responsabilità sanitaria

La Corte di Cassazione, terza sezione civile, con la recente sentenza n. 14085/2024, depositata il 21.05.24, nel respingere il ricorso avverso la sentenza d’appello che aveva rigettato la domanda di risarcimento danni avanzata da alcune persone per dedotta colpa professionale che in tesi aveva provocato nel 2013 la morte di una loro congiunta, ha affermato che l’art. 15 della legge n. 24/2017 (che prevede la C.T.U. collegiale in tema di responsabilità sanitaria) non si applica ai fatti che si siano svolti prima della sua entrata in vigore; che, quindi non rileva che il giudizio sia iniziato successivamente al 2017, ma solo l’irretroattività della legge in questione; che, peraltro, nel caso di specie, l’esigenza valorizzata dall'art. 15 della legge n. 24 del 2017 di coinvolgere nell'accertamento medico legale anche uno specialista della materia, è stata tenuta in conto in quanto è stata data dal giudice la possibilità al medico legale nominato proprio consulente di avvalersi dell’ausilio di uno specialista e questi lo ha fatto, avvalendosi dell’apporto professionale di un cardiochirurgo.

La Suprema Corte, inoltre, ha affermato che le eccezioni di nullità della consulenza tecnica d'ufficio, dedotte per vizi procedurali inerenti alle operazioni peritali, avendo carattere relativo, restano sanate se non fatte valere nella prima istanza o difesa successiva all'attività cui si riferiscono costituendo ipotesi di nullità relativa; che, quindi, l’eccezione di nullità della consulenza è stata ritenuta correttamente intempestiva dai giudici di merito perché non formulata in primo grado (quando era stata svolta la C.T.U.), ma solo in appello.

La Cassazione, infine, sottolinea che il giudice d’appello, recependo le conclusioni del C.T.U., ha correttamente osservato che non sussistevano elementi che contrastavano in modo assoluto alle dimissioni della paziente e che comunque non vi erano serie evidenze probatorie che le dimissioni avessero agevolato il diffondersi e l'evolversi dell'infezione, tenuto conto delle condizioni dell’ammalata al momento delle dimissioni e della prescrizione di una terapia antibiotica ritenuta appropriata.

a cura di Sergio Fucci - Giurista e bioeticista, già consigliere presso la Corte d’Appello di Milano

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