Il sanitario impugna l’ordinanza, ma il Tribunale del riesame conferma il predetto provvedimento.
Il medico, quindi, ricorre in cassazione contestando l’esistenza di gravi indizi di colpevolezza a suo carico in ordine ai delitti sopra indicati, la sussistenza del pericolo di inquinamento delle prove e anche l’eccessività della misura cautelare degli arresti domiciliari, potendo essere applicate misure interdittive dell’esercizio della sua attività.
La Corte di Cassazione, sesta sezione penale, con la recente sentenza n. 20026//2022, depositata il 20.05.22, respinge il motivo di ricorso relativo all’insussistenza dei gravi indizi di reato (emergenti invece dalle indagini svolte anche con servizi di osservazione e di controllo), ma accoglie il motivo relativo alla mancanza di adeguata motivazione sulla necessità della misura degli arresti domiciliari, annullando l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio sul punto.
La Suprema Corte, in particolare, osserva che i giudici di merito non avevano valutato se l'eventuale interdizione dallo svolgimento del pubblico servizio, ovvero l'interdizione dall'esercizio della professione medica erano misure idonee ad escludere di per sé la possibilità che le contestate condotte di peculato e falso potessero essere reiterate dall’imputato.
In sostanza le misure cautelari devono essere improntate al principio di proporzionalità rispetto alla finalità che si intende perseguire con la loro applicazione e, quindi, la più grave misura degli arresti domiciliari può essere irrogata solo se le altre misure interdittive in astratto applicabili non siano idonee ad evitare il rischio di reiterazione dei delitti contestati.